Il ritorno in Italia

Dopo una settimana di arresti domiciliari ad Abu Dhabi senza aver commesso alcun crimine mi trovo ad evidenziare ancora una volta l’incredibile illogicità di fronte a quella che è ormai una psicopandemia.
Una pandemia che viaggia a tutti gli effetti sui binari della piscosi.

Tutti gli esperti sono ormai concordi nel definire quella che da due anni ci affligge una sindemia:

una situazione in cui esistono delle interazioni, tra elementi biologici e sociali, che alterano e modificano di continuo gli stati e le condizioni di salute della gente.

Tutto questo ci ha investito ormai a 360°, tutte le fasce della popolazione ed in tutti gli aspetti della vita.

Ti starai chiedendo come sono riuscito a far ritorno in Italia?
Semplice, combattendo per l’ovvio. Combattendo per dimostrare che sto bene.
Grazie a quattro giorni di sciopero della fame e quasi 5 chili persi sono riuscito a forzare la procedura ed a farmi fare un tampone (negativo), me ne serviva un altro negativo per poter uscire.

Me lo accordano e chiedo loro di farmi arrivare i risultati entro la sera altrimenti non sarei riuscito a prendere lo shuttle dall’hotel della nazionale per poter tornare insieme alla squadra.
Mi dicono che faranno di tutto per chiedere al laboratorio di inserire il risultato sul database, non nutro alcuna speranza e stima per quelli che ormai sono diventati impiegati della sanità e non medici.


Gli impiegati della sanità


Sono cresciuto con l’idea romantica che il medico fosse l’ultimo baluardo che si frapponesse fra il paziente e gli eventi.

A studio da mio padre vedevo sempre un bassorilievo con un medico in camice che allontanava la morte da una fanciulla, colpì la mia immaginazione così tanto da spingermi ad entrare a medicina.
Poi lì trovai un mondo diverso, comincia a sentire i dottori che parlavano di clienti, non di pazienti.

Ho sempre ritenuto le parole importanti e ho visto certe cose come i prodromi di un cambiamento epocale:

non ci sarebbero più stati i medici ma gli impiegati della sanità, con i loro protocolli, ed il loro non sbilanciarsi mai protetti dalla tanto deresponsabilizzante procedura.

E poi ci sarebbero continuati ad essere i medici veri, la minoranza quelli del primum non nocere, quelli del giuramento di Ippocrate che continuano a curare in scienza e coscienza.
Sono pochi, sono sempre meno, io qualcuno lo conosco, circondati dalla mediocrità portano avanti la loro missione.

Il risultato


Preparo tutti i miei bagagli e metto la sveglia ogni ora, farò dei cicli di sonno veglia di 60 minuti per controllare la situazione sul cellulare, per vedere se l’impiegato in camice ha deciso di rendermi un po’ del mio prezioso tempo. Ho tempo fino alle 4.30 di mattina, dopo partirà lo shuttle dall’hotel della nazionale e dovrò andare da solo in aereoporto.
Ora dopo ora controllo la mia pagina personale, niente, rimango un soggetto pericoloso per la società ipocondriaca.
Un fulgido esempio di ingegneria sociale in cui nessuno si preoccupa delle tue reali condizioni di salute…manco il medico che dovrebbe curarti, l’importante è che come in videogame tu sblocchi il quadro e da rosso diventi verde!

Il risultato non arriva, perdo l’aereo ma decido di non continuare a perdere il bene più prezioso che ho, il tempo.
Mi attacco al telefono e chiamo il medico, solito scaricabarili, minaccio di chiamare in ambasciata. Arriva il risultato, sono negativo, prendo i bagagli e corro giù.

Alla reception il concierge mi dice che dovrei tornare su ed aspettare il referto del medico. Mi oppongo saldamente, non torno in quella camera!
Arriva il foglio, non lo porta il medico-impiegato, io quel medico non lo ho mai visto e non mi ha mai visitato!

La corsa in aeroporto

Corro a prendere un taxi per l’aeroporto. Il tassista pakistano mi dice come secondo lui dietro a tutta questa storia del Corona ci siano solo interessi economici e come sia preoccupato dal doversi fare la quarta dose.

L’aereo lo ho perso, la nostra libertà ormai è legata a doppio filo al leviatano tecnosanitario, devi sperare che un impiegato annoiato ti dia il permesso di vivere la tua vita.
Vado ugualmente in aeroporto per acquistare un altro biglietto, penso ti pare che da qui a stasera non ci sia un volo per Roma?
No, non c’è perché la gente non viaggia più, in realtà manco vive più…

Il prossimo volo è la mattina dopo, lo prendo e cerco un hotel nei paraggi, vado al Millenium della stessa catena del mio primo hotel.

Mi faccio un giro e cerco un posto dove mangiare, ovviamente nessuno mi chiede il lasciapassare, entro in un ristorante pakistano assurdo prendo del riso e i ceci al curry.


Avrei potuto mangiare nel ristorante dell’hotel a cinque stelle, ho preferito vagare senza una meta nella città in attesa del mio ritorno in Italia.

Passo la notte sveglio, salgo sull’aereo e mi vedo l’ultimo film di Clint Eastwood.
Atterro a Roma, nessuno mi chiede il lasciapassare verde, nessuno mi chiede i tamponi, nessuno mi chiede il certificato di guarigione, passo dritto ed esco.

Ora sono un guarito, potrei chiedere ed ottenere il mio lasciapassare verde, ovviamente non lo farò.
Come dice Giorgio Agamben “una libertà concessa, non è libertà!”

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